Mi giunse finalmente una lettera della segreteria: per risarcirmi almeno della gratificazione non potuta avere, mi davano il diritto di scelta della città dove avrei dovuto recarmi subito subito; Foligno, Livorno o Siena: scegliessi.
CAPITOLO XXII.
Io credo che non esista, in Italia, una città più classica di Siena: la sua stessa posizione sull'erta collina; le sue strette e tortuose viuzze che la fanno tanto somigliare a Toledo; i suoi palazzi neri, alti slanciati, quel tutt'insieme di vetusto e venusto che salta agli occhi anche d'un profano; quei vicoli scavati fra alte muraglie da' cui filari spuntano ciocche e ciuffi d'alberi, rami fronzuti carichi di fiori; quel silenzio profondo; delle mura, degli abitanti, del cielo, dei monti, delle sue tombe, dei suoi magnifici templi; quel non so che di misterioso che vive tra le pareti delle case tutte ricoperte d'edera e di blasoni in pietra delle antiche aristocratiche famiglie, con festoni e armi di pietra, con le scale di pietra ripide e consunte dal tempo; quei monumenti di pietra attestanti una vitalità poderosa e guerriera nei tempi delle antiche faide toscane; lo stesso profumo che invade la intera città e che giunge dai mille e mille orti, dai mille e mille balconi su cui fiorisce il garofano, il gelsomino, la mortella, il timo: tutte queste prerogative d'una città antichissima, di una morta città, di una città che pare che viva soltanto delle sue straordinarie memorie; me la fecero amare e ammirare a un punto stesso, e con tanta energia e foga giovanile, che non mi pareva vero d'aver avuto la fortuna di potervi vivere a tutto mio agio: erano così due amori che mi crescevano nel cuore con pari intensità; e, appena saziato l'occhio, e placata la febbre di riveder colei per la quale avrei dato la vita, presi la risoluzione di conoscere tutte le bellezze di una città che, finalmente, era la patria e la culla degli avi miei
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