Senza denari, giovinetti tutt'e due; e lei monaca, senza altro che i sogni delle nostre teste ardenti ma pazze... saremmo arrivati fino a Venezia? e poi cos'avremmo fatto? Oh sogni, sogni divini dell'inesperienza, ma anche, sì, della vera passione che non conosce catene, che non ascolta la voce del raziocinio; follie della giovinezza.
Non volli portarla via, nè lo avrei potuto: le sue parole acerbe, i suoi occhi fiammeggianti mi feriscono anche ora, dopo cinquant'anni, come mi lacerarono e ferirono allora! Lei aveva ragione;... io non avevo torto... Non l'amavo abbastanza - diceva: - Aveva dunque ragione la mia bella Virginia quando mi diceva:
- L'amore è intrepido... Tu non mi ami; le tue parole sono la nebbia colorata dai primi raggi del sole che la fanno svanire! Va', va' mi diceva respingendomi: va' che le furie ti morderanno il cuore e ti faranno pentire d'avermi lusingata!
Ed io sempre più soffrivo, come se due fiamme ardenti mi consumassero: l'amore, l'inanità della mia esistenza. Non avevo più la forza di resistere, cercavo nel caffè la distrazione.
Il caffè, è stato, una delle mie più forti passioni: durante la vita io ho, ad uno ad uno, detto addio a tutti i vizj, se tali si possono veramente chiamare il sigaro, la pipa e i libri: sono divenuto astemio; ho ridotto il mio alimento a una sola volta al giorno; insomma ho potuto vincere con volontà tutte le passioni del corpo... meno una! quella del caffè. Il caffè fu, durante settantacinque anni, la consolazione e il veleno di tutta la mia esistenza; io mi sono lentamente avvelenato, trangugiando enormi quantità di questo infuso, che m'ha distrutto e animato al tempo stesso; mi ha fiaccato i centri nevropatici; mi ha, dirò così, lentamente distrutto e invecchiato: ma fatto pensare: distrutto nella fibra, alitato nel cervello; perchè soltanto al caffè, a questo divino nèttare, debbo i pochi fiori del pensiero, li scritti del cuore, i sogni dell'anima.
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Venezia Virginia
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