Orbene l'epoca in cui ho veramente cercato quasi la morte in questo potente alcaloide che è un eccitatore per eccellenza, fu quella di Siena. Non sorridete, nè vi spaventate: io ero giunto a bere quindici tazze di caffè al giorno! Il Buffet della stazione (che faceva credenza ai poveri impiegatelli pari nostri) mi somministrava le tazze fumanti che io mandavo a prendere dalla guardia - e un bel mattino, fui trovato disteso e senza vita, sotto un tavolino delle macchine: invano mi furono apprestati tutti i rimedj che si credono del momento; invano mi si gettò acqua e aceto sul viso e sulle mani; il mio corpo era divenuto quello d'un morto. Presto, presto mi conducono con una vettura di piazza, al mio domicilio... nel quale mi risvegliai dopo quindici giorni!
Cos'era stato? Nessuno me lo seppe spiegare; come nessuno seppe il vero motivo di quell'attacco: il padrone del caffè mi mandò il conticino: lire 23!... Avevo bevuto 23 lire di veleno. «Ecco, dissero tutti, la cagion del male; il dottore mi tenne una paternale dicendomi: che sarei morto di mal di nervi..... Ma lei, che era venuta a visitarmi, e che stendeva la sua cara mano sulla mia fronte ardente, mi bisbigliava altre parole e anch'io credo che la sola malattia che mi distruggesse, era la passione di fuoco che ardeva nel mio corpo, nel mio cervello e nel mio cuore.
Io trovai una scusa ben più plausibile al mio malore e a tutti la dissi e a tutti la feci credere, per allontanare i sospetti dalla segreta passione.
Uno dei cari amici della mia giovinezza fu certo Sandro Biondi; un giovane d'Empoli, aitante della persona; coi capelli color d'oro, giovialone, buonissimo: aveva un viso su cui l'allegria ballava costantemente la manfrina per dirla con una parola di spirito che io gli ripetevo.
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