Abbraccio con l'effusione dei miei sedici anni tutti que' cari mattacchioni, cenammo, bevemmo, si cantò sulla chitarra, parlai, parlarono, insomma non era trascorsa un'ora da che mi trovavo nella buona capitale maremmana, che già mi pareva d'essere a casa mia.
Arrivò, sul tardi, il mio collega d'ufficio Saccomanni che mi prese sotto la sua santa protezione, come mi disse, e che mi porterebbe in servizio con sè: - Perchè qui a Orbetello caro mio facciamo come ci pare a noi e gl'ispettori, quando vengono, prima li ubriachiamo bene bene, e poi te li portiamo a cena da Saccoccione, che farebbe resuscitare i morti co' suoi arrosti e le sue burlette!
Di Saccomanni avrò a parlarne ancora; quindi permettetemi che ve ne delinei in pochi tratti la figura stenterellesca: crederete ch'egli fosse come si dice, uno stinco di santo e un tipo buono e da fidarsi: oh no! lo vedrete poi nel futuro.
Ma a quel tempo, giovine anche lui e solo, fra' cattivi amici, non poteva dirsi il peggiore.
Aveva il naso ritto e parlava da quel condotto con una voce da canna fessa: portava il berretto in tralice; fumava tutto il giorno a pipa: teneva sempre le mani in tasca e alzava le spalle come se stesse sempre lì per tirar su un barile o un sacco: lungo e allampanato, quando stendeva le gambe, bisognava far de' giochi da funambolo per passargli davanti: Mattacchione e allegro la sua parte anche lui, ma traditore. - Non ti fidar di me - gli si leggeva facilmente tra un occhio e l'altro quando ti guardava divaricando gli occhi, uno a destra a l'altro a sinistra.
| |
Saccomanni Orbetello Saccoccione Saccomanni Mattacchione
|