Così, tra Giulio e me, si strinse un'amicizia che doveva durar molti anni; amicizia che non fu smentita neppure, quando, dopo trent'anni, rividi Giulio vecchio come me e, come me col peso degli affanni sulle incurvate spalle.
Servizievole era Giulio, e capace di buttarsi nel foco per chi voleva bene, che eran tutti, purchè fossero galantuomini; burlettone e affabile senza passar mai dall'altra parte con le confidenze, sapeva rispettare l'avventore e l'amico, e a me, m'aveva messo affetto più che d'amico, e diceva sempre quando entravo:
- O Giulio t'ho serbato questo - e mi faceva vedere o una triglia, o un par di tordi - sentirai com'è bono!
Non fu sentito mai bestemmiare, nè fu visto mai ubriaco come la maggior parte degli osti: alla moglie (una bella giovane bruna manierosa e a se') non gli fu sentito mai dire una parola un pò alterata, e i suoi avventori, entravano costì, mangiavano, bevevano, pagavano senza sentir mai un grido fuor di tempo e rozzo com'era e senz'istruzione, (come pur troppo avviene di tutti gli osti) era un oste che si poteva chiamare l'Araba Fenice. A que' tempi a Giulio gli affari andavano bene.
Gigi del Re era viareggino; alto, magro, con due gran baffoni spioventi, biondi e lunghissimi che lo facevano rassomigliare a un antico gallo; aveva gli occhi celesti e parlava rado e piano; aveva un risolino freddo e cheto; uno di quei risolini silenziosi che par che escano da una macchinetta arrugginita ficcata nella gola; senza calore, senza sentimento codesto risolino gelido, a me, piaceva poco, avevo cominciato intuitivamente a esaminare i miei òmini dall'apparenza; e confesso che - raramente - ho avuto poi a pentirmene.
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