Provai prima con le buone, non riescii che a farmi ridere sul viso; un giorno stufo e nervoso, e per di più mi doleva il capo forte, entro in ufficio e trovo che m'aveva aperto il cassetto e leggeva certi versi miei e rideva. Mi saltò la stizza al naso, lo prendo inferocito pe 'l petto e lo sbatacchio contro la macchina: povero Ettore, quanto me ne pentii dopo! ma che forte lezione fu quella: la chiave dell'apparato schizzò via spezzata nel manico, e picchiando la fronte sul quadrello di carica gli produsse una ferita che avrebbe potuto essergli fatale. Si voltò in furore, ma ormai avevo il sopravvento; ero cieco d'ira, e agguantata una sedia gli menai colpi da matto sullo stomaco, sulla faccia e sul capo. A quel tramenìo accorsero di stazione, e me lo tolsero di mano che pisciava sangue dal naso e dalla bocca: da quel giorno non mi seccò più, non solo; ma fu un altro.
Ricordatevi o giovani che non si dev'essere prepotenti con nessuno, ma conviene sempre essere i primi se mai a darle, perchè dice il proverbio chi prima le dà le dà due volte. Con tutti qui debbo dire che mi diventò grande e affezionato amico: mi ricordo che, nel '77 traslocato a Roma, lontano dalle sottane della mamma, nei primi giorni che si trovò in quella città gigantesca, sperduto, solo, senza amici, spaurito, malato di nostalgia, s'attaccò a me e mi faceva compassione. Una sera, l'avevo portato dall'oste dove mangiavamo noi poveri travets mi s'ubbriacò fradicio marcio, con quel vinetto d'Orvieto che par che dica: - «Bevimi bevimi»: Lo presi a braccetto, per carità d'amico, e l'accompagnai a casa.
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Ettore Roma Orvieto
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