La sua stanzetta - su in una quasi soffitta in via dell'orologio - era tappezzata con diversi quadri: vi spiccavano i ritratti di Mazzini e di Bakunine; quelli di Garibaldi e dell'allora già famoso Kropotkine; di Marx, Engels, Lassalle, Owen; era come un tempietto dei grandi agitatori e pionieri dell'Internazionale. Spiccava, attaccato alla porta il Cristo Uomo, il povero e umile pescatore di Galilea; era raffigurato coi piedi bagnati dalle onde del Mar Rosso, tenendo in mano il pane della fratellanza. Turbe infinite di povere genti stavano attorno a lui e scendevano al mare per godere del festino della redenzione umana; si vedevano vecchi, donne e fanciulletti spezzar fra loro il pane mistico dell'amor fraterno; scendere dalle montagne altre turbe affamate dello stesso spirito di rigenerazione, e il volto buono del primo Socialista della Terra, splendeva di purissima luce nel fondo azzurro del cielo maraviglioso di Galilea.
La critica e la filosofia storica, hanno distrutto la leggenda del povero figlio del falegname, del mite dottor di Bethlem; e anch'io, con la scorta delle cronache asiatiche, delle religioni di Budda e di Confucio, credo fermamente che sia la stessa leggenda, rinfrescata dai poeti dei popoli orientali: eppure sento vivissimo ancora il prestigio del Cristo uomo, il quale attraverso i secoli, è venuto fino a noi, tra le oscurità e i crepuscoli degli èvi, come un benefattore sublime, come un Maestro d'amore, come un rivoluzionario d'anime alla ricerca di quell'Umanesimo che i tempi moderni chiamano Socialismo.
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