Mi par di vederle anc'ora: verso l'imbrunire si radunava tutta codesta grazia di Dio in sulla piazza Carlo Alberto e di lì, a coppie, a quattro a quattro, a sei a sei, tenendosi a braccetto da un marciapiede all'altro, con gli zoccoli (l'uso degli stivaletti non è poi mica tant'antico) battevano il tamburo su' pietroni della strada, avviandosi ridendo e cantando e mettendo l'allegria dappertutto, verso il mare, ove si schieravano a gruppi e si divertivano ad aizzare i giovani marinai e fratelli e conoscenti. Guai per noi forestieri: i lazzi e i motti arguti s'incrociavano da una parte all'altra della strada: - O quattr'occhi, - mi gridavano: O che ne' fai delle vetrine! - O, biondino, tirati in là se no m'accei! - O bellino o che n'hai fatto alla nonna; n'hai rubato l'occhiali? - To' bello, la vöi una presa di tabacco? - Io rispondevo complimenti, senza paura e senza vergogna e di molte di quelle belle giovani non isdegnavano rispondermi con parole gentili; perchè la livornese è buona e carina, a suo modo e amabilissima, a saperla prendere
- Occhio di sole, (rispondevo, io) lo vuoi un bacio? - O morina, dove stai di casa che ti vengo a mettere una candela davanti come alla Madonna. - Inventavo nomi, e gliegli appioppavo come se le conoscessi da anni; questa era Leonora; quell'altra Lamina; Celeste, Lisa,... insomma mi riconoscevano, sghignazzavano, ridevano e mi canzonavano fitto fitto. Bei tempi davvero che ricordo con tanto struggimento e simpatia!
Una sera saranno state le dieci, eravamo in diversi amici al Gran Caffè della Posta, (di faccia all'ufficio postale) a bere il poncino, bevanda indispensabile in Toscana.
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