Confesso lealmente che io debiti, per me, tranne quei soldi in gioventù che saldai vendendo i miei libri, non ne ho fatti mai: pur troppo, per buon cuore mi son trovato a firmar cambiali e rovinarmi per gli altri; ma ho pagato, sempre, a costo di perdere una posizione, di soffrir le pene dell'inferno, abbandonando il mio caro paese, e andando a vivere fra gli Zulù d'America e d'Australia dell'Affrica e del Giappone, per finire tra i Cholos della Bolivia.
Un uomo d'onore, di carattere e di cuore, dev'essere indipendente: povero sia pure, ma da poter camminare con la faccia scoperta, in faccia alla luce del giorno.
Chi fa debiti, è uno schiavo degli uomini, ma prima di tutto è schiavo e martire di sè stesso. Eppure ci vuol tanto poco a contentarsi della propria fortuna!
Costì a Livorno, dunque, feci qualche sommetta di debiti, e mi trovai a mal partito: me n'apersi col mio buon fratello Lemmi. Non ebbi finito d'aprir bocca che il brav'uomo aperse il cassettone; tirò fuori i suoi risparmi, (una sessantina di lire) me li mise in tasca dicendomi:
- To' Giulio, questo è tutto quel che ho: fai il tuo comodo e rendimeli quando ti pare.
Gli strinsi la mano e me n'andai col cuore in burrasca: contento, perchè avrei pagato tutti; mortificato acerbamente, perchè sentivo che la coscienza mi rimordeva tanto e pareva che mi dicesse: - Vergogna, un amico come Lemmi! cosa dirà di te? E io dico arrossendo anche ora, mi pareva d'aver commesso una mal'azione e mi stillavo il cervello di come avrei potuto fare a rendergli que' dodici scudi che me li sognavo la notte, piangendo.
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