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      Questo sospetto verso di me, il dubbio atroce d'esser creduto ladro, mi consumava davvero. E il peggio era che il Fornasero, dopo il terribile fatto, mi si mostrava più amico e cortese di prima, nè io mi capacitavo del perchè: Me ne sfogavo col mio buon livornese, quando, una notte, (ch'eravamo di servizio insieme) mi dice:
      - Lo sa, sor Giulio, che io ho fatto un'indagine per conto suo? stia tranquillo che c'è quì, chi sa per filo e per segno chi fu il vero ladro! - Gli presi le mani fra le mie e gli diedi un bacio; scongiurandolo che mi raccontasse cos'aveva scoperto; e mi narrò, che quella notte, dopo poco che noi eravamo smontati di servizio, il Fornasero aveva mandato al Buffet per roba da mangiare e da bere, e pagato con cinquanta centesimi.
      Ora il Fornasero, come noi tutti, era sempre al verde, e si faceva prestar da Tizio e da Caio e dagli amici di stazione, tutte le volte che entrava di notte! Questo fu un balsamo per me, ma giustizia vera, reale, costì, non fu mai fatta, e mi rimase la spina infissa per tanti e tanti anni ancora e quando ci ripenso, provo le stesse senzazioni di cinquant'anni fa. Ma, dice il proverbio: - «Chi mangia il pesce, rifà le lische! e chi mal fa, mal va». Tornato dall'America, fermatomi a Pisa alcuni giorni, parlando con alcuni vecchi amici ancora impiegati, seppi che il Fornasero avea finito male di molto; che era stato cacciato via, e che, carico di famiglia, con sette o otto creature affamate, chiedeva quasi l'elemosina in Pisa stessa. Aveva finito per rubare, all'ingrosso, alterando i telegrammi, cancellava alcune parole, rabberciava le madri dei bollettari e intascava i soldi rubati.


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La vita di Giulio Pane
di Giulio Tanini
Tipogr. Waser Genova
1922 pagine 497

   





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