Una mattina - dilungatomi insolitamente fuori della città - me n'andavo fantasticando lungo un magnifico stradone tutt'ombreggiato di altissimi pioppi e di cui non si vedeva la fine; quando, a un tratto, saltando di sopra una siepe, un grosso mastino mi corse addosso furioso! Non avevo meco arma alcuna; tenevo soltanto fra le mani un grosso libro che istintivamente, facendo un salto indietro, getto fra le bramose canne di quel cerbero ruggente, che vi si getta sopra con le zanne.
- Morte - qua morte - (sento gridare pacificamente dietro la siepe) e la testa grigia, poi il corpo d'un omiciattolo corto e basso, un vero nàcchero rimpinzito di ciccia e grasso, viene fuori lentamente, come se non fosse fatto suo di veder sbranare un povero cristo, dalle zanne del suo ferocissimo alano.
- Non abbia paura sa: - comincia tutto ridente il vecchietto, è più buono del pane; non morde; abbaia un poco, si sa, ma come dice il proverbio: - can che abbaia non morde... - Morte qua.
- Grazie - buon uomo - (rispondo); ma le intenzioni non mi paiono tanto pacifiche - guardate: e gli mostrò il libro tutto in pezzi.
Per farla breve, m'invita a colazione in casa sua (quattro passi di distanza) e io accetto.
L'ora del giorno e la dolce stagione - m'avevano aperto l'appetito, e senza tanti complimenti, seguii quell'uomo tutto manieroso.
Entrato in un vestibolo, vedo in un angolo una ventina di croci ritte, appoggiate al muro; due o tre lanterne; zappe, badili...... «arnesi rurali» (penso fra me). Intanto ha dato una voce; viene una Perpetua grassa e grossa come lui; mezz'ora dopo eravamo a cecce a una tavolaccia coperta con una tovaglia di bucato, con un magnifico fiascaccio di vino, pane, salame, mele e un'odorosa frittata col prosciutto, grande come una luna piena.
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Perpetua
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