Non è quella una cucina classica, di quelle famose antiche cucine, sale, conciliaboli, dove si adunavano a consilio i nostri avi, vecchioni dalle fluenti e candide barbe, insieme alle loro donne, con due tre generazioni di nipotini intorno? Quanti dei suoi lettori, non si saranno fermati a guardare nelle vetrine di un antiquario qualcuna di quelle antiche litografie ingiallite dal tempo, sulle quali si vede dipinta o riprodotta una cucina italiana del cinquecento, esattamente uguale a quella tramandataci, con tanta maestria, dalla penna del povero Nievo?
Ebbene io ho veduto una simile cucina, reale, positiva in Foligno; vi ho mangiato durante varj mesi; vi ho fantasticato, sognato, sospirato. Immaginatevi uno stanzone immenso, a un secondo piano, col soffitto di travicelli di legno neri e lustri come le panche di una chiesa; le pareti piene zeppe di casseruole, teglie, bricchi, pentolone e marmitte di rame, lustre come l'oro; seggiole impagliate e pesanti, con spalliere massicce, sormontate pioli muniti da palle su cui le mani avevano facile presa per trasportarle da un luogo all'altro; un tavolone sterminato di noce, lustro come un metallo brunito dall'uso di molte generazioni, con le gambe incaprettate e attraversate da listoni di legno, comodissimi per appoggiare i piedi; panche e panchetti lungo le muraglie centenarie, e un camino sterminato, grande e alto come un'alcova, sempre luminoso per il continuo fuoco de' ciocchi odorosi di legna, che facevano bollire un corpulento pajolo, attaccato al gancio d'un catenone che si perdeva, su, su, nella gola di quell'enorme bocca di lupo.
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Nievo Foligno
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