Che desolate, a brunoVeste il flutto indorato, e par che ondeggi,
Seggo la notte; e su la mesta landa,
In purissimo azzurroVeggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchioIl mare, e tutto di scintille in giro
Per lo vòto seren brillare il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch'a lor sembrano un punto,
E sono immense in guisaChe un punto a petto a lor son terra e mare
Veracemente; a cuiL'uomo non pur, ma questo
Globo ovè l'uomo è nulla,
Sconosciuto è del tutto; e quando miroQuegli ancor più senz'alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle,
Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomoE non la terra sol; ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l'aureo Sole insiem, le nostre stelleO sono ignote, o così paion come
Essi alla terra, un puntoDi luce nebulosa; al pensier mio
Che sembri allora, o proleDell'uomo? E rimembrando
Il tuo stato quaggiù, di cui fa segnoIl suol ch'io premo; e poi dall'altra parte,
Che te signora e fineCredi tu data al tutto; e quante volte
Favoleggiar ti piacque, in questo oscuroGranel di sabbia, il qual di terra ha nome,
Per tua cagion, dell'universe coseScender gli autori, e conversar sovente
Co' tuoi piacevolmente; e che, i derisiSogni rinnovellando, ai saggi insulta
Fin la presente età, che in conoscenzaEd in civil costume
Sembra tutte avanzar; qual moto allora,
Mortal prole infelice, o qual pensieroVerso te finalmente il cor m'assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.
A SÈ STESSOOr poserai per sempre,
Stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
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Sole
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