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      Mi dibattevo intanto fra i ferri d'una gabbia mortale; anzi in quattro gabbie, le cui sbarre, non soltanto mi precludevano l'aria libera e la luce della libertà in faccia al sole; ma minacciavano d'inselvatichirmi e inaridirmi avanti il tempo: la prima era il mio sfortunato e insoddisfatto amore per la non mia Virginia; e la povertà, che isteriliva le sorgenti della vita, destituito com'ero d'ogni comodità e d'ogni alimento puro; la terza, un ambiente meschino, volgare, ignorante superbo e brutale, che mi ricordava, con profondo sentimento i versi del mio infelice poeta:
      «Nè mi diceva il cor che l'età verdeSarei dannato a consumare in questo
      Natìo borgo selvaggio, intra una genteZotica, vil, cui nomi strani, e spesso
      Argomento di riso e di trastulloSon dottrina e saper; che m'odia e fugge,
      Per invidia non già, chè non mi tieneMaggior di sè, ma perchè tale estima
      Ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuoriA persona giammai non ne fo segno.
      Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
      Senz'amor, senza vita; ed aspro a forzaTra lo stuol de' malevoli divengo:
      Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
      E sprezzatoe degli uomini mi rendo,
      Per la greggia ch'ho appresso: e intanto volaIl caro tempo giovanil, più caro
      Che la fama e l'allôr, più che la puraLuce del giorno, o lo spirar: ti perdo
      Senza un diletto, inutilmente, in questoSoggiorno disumano, intra gli affanni,
      O dell'arida vita unico fiore».
      Io avrei accettato quasi più volentieri la galera che dover stare in un ufficio, dodici, quattordici, venti, ventiquattro ore, sempre con la spada di Damocle sulla testa; quella finestrella, che l'ispettor Giuseppe Guidi (mi par d'averlo detto) aveva fatto praticare a uso e consumo dei suoi nobili sentimenti di sbirro telegrafico, mi stava dinanzi e nell'anima come un incubo, come uno di quei misteriosi gioghi che si sentono ma non si vedono: ogni tanto, per una parola fra noi detta in tono un po' più elevato; per una risata, per una domanda - che so io - per un . - ... (aspettare) dato di sfuggita a una stazione che chiamava fuor di luogo (noi sapevamo benissimo l'ora che vi poteva essere urgenza vera in una linea per il passaggio de' diretti, o macchine o altro); subito cigolava quella accidentata finestrucola e compariva la testa mezza pelata del boja, con que' suoi occhietti scerpellini e quella faccia di c.... alderotto arrugginito, che, se rideva con quella bocca fessa e maligna pareva cigolasse; se era arrabbiato, sbrodolava bava dagli angoli e dai pochi denti, neri, bucati e rotti.


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La vita di Giulio Pane
di Giulio Tanini
Tipogr. Waser Genova
1922 pagine 497

   





Virginia Damocle Giuseppe Guidi