Era poi suo tirapiedi e compare e degno Acate, un senese rosso e alto, con una faccia da cherico invecchiato, con sul naso un par d'occhialoni mascheranti la grande asinaggine del padrone, col lusso e lo scintillio delle grosse stanghette d'oro e di due grandi vetri da miope; perchè il degno sosia era di vista corta all'ultimo grado, e, noi, ne approffittavamo per fargli i più be' tiri di questo mondo.
Povero Adamo Bianchi, che corna si rimpastò, correndo il tempo; ma nessuno se ne commosse nè ne sentì pietà, perchè era stato aguzzino feroce e crudele della povera gioventù che gli cadeva sotto le mani, e s'era inerpicato a' primi posti strisciando e anguilleggiando fra sacrestie e segreterie: io lo chiamavo Sant'Ignazio di Lojola e il nome gli rimase vita natural durante! Di codesti due aguzzini, mi volli vendicare, però in modo superlativo e segretissimo, per non incappare nel pericolo che dicendolo a qualche compagno, me lo rifischiasse fuori e arrivasse a scoprirsi il peccatore. La burla bisognava farla di molto bene, perchè erano due furboni che ci rivendevano a uno a uno, peggio che se fossero ebrei. All'ispettore, dunque, gli tramai questa burla che fu veramente terribile.
Sulla finestrina, inchiodata al muro, c'era una specie di scaffaletto dove ci si tenevano varie cose pe 'l servizio, circolari, buste ecc; sul piano superiore dello scaffale ci tenevamo il recipiente d'una pila, pieno di gommaccia puzzolentissima e tutta piena di mosche morte o da morire: con un fil di refe solidissimo attaccai uno spillo al filo e lo inganciai all'orlo del vaso; poi facendo carrucola degl'isolatorini che portavano i fili di rame alle macchine, stesi il filo lungo tutto lo stanzone, e aspettai il momento opportuno che fossi solo.
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Acate Adamo Bianchi Sant'Ignazio Lojola
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