Roma, ha un incanto particolare che non hanno altre città al mondo; chi c'è stato, sente il bisogno di ritornarci; eppure - in sè - è una città scura, severa, imponente; maraviglia come, chi per esempio è stato a Napoli e a Milano, a Torino o a Firenze, sente così grande la differenza tra città e città che crede quasi impossibile farne un raffronto: sì, rivedrà volentieri Torino per la sua leggiadra situazione e sistemazione pulitissima, direi limpida delle strade e de' monumenti; Milano per il suo traffico scomposto e agitato che la fa somigliar a Londra, anche per quella sua nebbiolina che, a certe ore del giorno, t'impedisce la visione vicina degli oggetti, e delle persone; Venezia, piace - sebbene appaja monotoma - e triste e soffocata a chi viene da Napoli o da Firenze -; la Capitale della Toscana, seduce con la leggiadria e la gentilezza incantevole dei suoi Colli, delle sue amene e vaste strade, delle piazze Storiche, dei tempï maestosi e maravigliosissimi, di cui, ogni mattone, ogni pietra, ogni marmo, tramanda - sto per dire - una voce fiorentina tutta sua, che riempie gli occhi, il cervello e il cuore, d'una magnificenza unica più che rara: ma Roma - Roma, per il pensatore, per il filosofo, per uno spirito fantasioso e poetico, è qualche cosa d'immenso, di gigantesco, a immaginarsi e a descriversi: troppe e troppo grandi e inestimabili sono le memorie che s'affastellano l'una sull'altra, nel breve spazio di pochi passi!
Quì, monumenti e storia si mescolano in modo inestricabile: non bastano le fuggitive e affrettate descrizioni de' cronisti e dei Tacito; qui ogni palmo di pietra, di marmo, i sassi stessi, ogni centimetro di vetusto marmo, ti narra i palpiti e le gesta di un popolo, che lasciò nell'universo una lingua che mai ammutolirà: oh la divina Roma, chi saprà descriverti con la voce di Virgilio redivivo?
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