Mi mostrò un giorno i certificati delle sue prodezze: quattro medaglie al valore; aveva difeso Venezia con Daniele Manin; aveva combattuto alle Cinque Giornate di Milano; aveva preso parte alla rivoluzione di Brescia; con Garibaldi nei Cacciatori delle Alpi, il '49 alla difesa di Roma. Mi sentivo ben umile dinanzi a un eroe di questo valore, e capivo perfettamente che, un uomo di quel valore era qualche cosa di sacro e di diverso dagli altri: e infatti, ne ho conosciuti moltissimi di quei nostri patriotti che dettero la loro gioventù e il loro sangue per darci una patria, e li conobbi - quasi tutti - nervosi a quel modo, irrequieti, parlando a scatti, e suscettibili d'impeti furiosi che - a chi non li conosceva e non li avesse in pratica - incutevano antipatia e dispetto; ma non era giusto. Si riportassero gli uomini a qualche loro gesta a que' loro martiri; ricordassero ch'essi avevano giocato a pari e caffo la gioventù, il patrimonio, la famiglia, le mogli, i figlioli, le amanti, per correre ove più si pugnava a redimere questa nostra povera e cara patria; e allora anche le loro stranezze svanirebbero come fatterelli quasi necessarii, comuni.
Io amavo Coletti grandemente: scopersi che pativa la fame! perchè - domanderà il lettore? - non era impiegato, era vizioso, scostumato?
Oh no! Povero Coletti, era un fior di galantuomo: scopersi che tutti i suoi denari li spediva a una sorella a Udine o Vicenza, vedova d'un ufficiale morto alla difesa di Venezia, che aveva un branco di figliuoli.
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