Lui mangiava tozzi di pan secco e beveva acqua. Morì, di lì a qualche anno, in un Ospedale: grandi funerali furono fatti al valoroso e sul suo feretro la camicia rossa e le sue sei o otto medaglie brillavano come gemme: unico ricordo a una devozione degna di miglior premio!
Però - nell'accomiatarmi dall'ombra del mio buono ed eroico amico Coletti Luigi - non posso passar sotto silenzio un fatto veramente strano, e anormale, curioso e incredibile insieme, ch'egli perfetto misteriosamente e che ci tenne in grandissima agitazione (come sentirà il lettore), il padron di casa e me, per lunghi giorni fra l'incertezza e il raccapriccio.
Teneva il buon omo nella sua cameretta, appoggiata a un usciolino che separava la mia dalla camera sua, (uscio che stava sempre serrato a chiave) una specie di cassa nera nera e lunga lunga, che pareva una bara. Noi non sapevamo cosa ci tenesse dentro, ed egli teneva gelosissime le sue chiavi che, per niuna ragione al mondo, lasciava toccare a chicchessia; caduto malato, avendo avuto bisogno d'aprir quella cassa-bara, aveva voluto con una scusa, che escissimo prima di camera, e l'avevamo sentito benissimo scendere il letto e andare al baule, metter la chiave alla chetichella, aprire, richiudere e tornarsene lesto lesto a letto. Facevamo le più disperate congetture, sul misterioso cassoncino: - Dev'essere un orario, - diceva il sor Giovanni; - dev'essere un avarone che nasconde il suo peculio costì dentro e ha paura che si venga a scoprire. - E difatti - con quel suo far lo gnorri, sempre che noi accennassimo ridendo al formoso baule, anch'io m'ero quasi convinto che costì ci dovesse essere un tesorone; anzi, un giorno, per far colpo, dissi forte in presenza sua e di due o tre persone:
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Ospedale Coletti Luigi Giovanni
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