Io l'obbligo a far come voglio, perchè qui - gli dico - voi siete l'ospite e io quello che invita.
Raccomandato il giorno dopo al Cav. Bernardi, che era veneto anche lui, Capo-stazione Principale, lo impiegò con sè in segreteria, e così il povero Giuseppe Danella ebbe un pane.
Era il poveretto, di famiglia aristocratica veneziana, e, un tempo, ricchissima, allora decaduta: godè poco tempo del pan duro ferroviario; ammalatosi di tisi, morì all'Ospedale e la tarda pietà nostra raggranellò poche centinaja di lire, fra tutto il personale di stazione, per le misere bambine!
Ho narrato questo fatto - lievissimo e comune se si vuole - ad un sol fine: quello di mostrare come un uomo dotato d'eccellenti qualità, per poco che la fortuna lo abbandoni, può terminar la vita in un letto numerato d'ospedale. Prima di morire, il buon Danella volle riveder me, che considerava come il suo salvatore (l'infelice non sapeva, nè s'era accorto, che aveva le ore contate!) Presami una mano, mi scongiurò di scrivere alla sua famiglia e di dire alle sue bimbe che presto sarebbero venute nella bella Roma anche loro: volle che promettessi di spedire alle infelici creature tutto il suo stipendio; mi baciò, e s'addormentò mettendosi sotto al capezzale due aranci che io avevo portato meco. Non doveva rivedere il giorno seguente! Morì senza un lamento, col nome delle sue creature sulle labbra.
Quando lo seppe il buon cav. Bernardi, (vecchio patriotta che si fregiava di due medaglie al valore guadagnate a San Martino come ufficiale de' bersaglieri) pianse come un fanciullo.
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