Povero Danella, povero Bernardi; il primo morto all'ospedale; l'altro si suicidò molt'anni or sono, non si seppe mai perchè.
Oh giovani, non tralasciate mai di sollevare gl'infelici; dividete con loro il vostro pane, ancorchè duro e scarso; non serrate mai il vostro cuore alla carità, perchè - chi sa - un giorno potete anche voi aver d'uopo della protezione d'un altr'uomo; non passate giammai oltre, dinanzi alla sventura e alla infelicità dei fratelli, perchè, sebbene nessuno ve ne ricompenserà nè sulla terra nè in cielo (vana fola creata dal timore), la soddisfazione immediata che voi ne sentirete nell'atto stesso di porgere una mano alla sventura in lacrime, e il ricordo generoso del beneficato, varranno molto di più, certo, d'una medaglia d'argento o d'oro, o d'un nastro, che le apparenze vi possano fissar sul petto con uno spillo.
Giuseppe Danella morì nel fior degli anni ed ebbe funerali degnissimi; lo accompagnammo tutti con amor di fratello, e i nostri occhi brillarono di lacrime sincere e non comprate: la sua memoria vive ancora sur un marmo gelido in Campo Verano: ma la più bella epigrafe è questa che l'unico suo amico scrive, oggi, con inchiostro stemperato di lacrime. Addio, Danella, addio! Povero Danella....
Mi tormentava amaramente la vessazione continua di cui io era vittima da parte dell'ispettore dei telegrafi che si chiamava com'ho detto, cav. Fabio Binda ed era, - vedete combinazione - proprio mio conterraneo, cioè lucchese; col dir questo, io non intendo affatto voler dare ad intendere che perchè nato fra le mura dell'etrusca città di Gentucca e di Bontuaro, io avessi la pretesa d'accampar diritti alla sua protezione; manco per sogno: spirito assolutamente indipendente e affatto spregiudicato; fu sempre uno dei miei difetti (se difetti può dirsi quello di non voler mendicar giammai la protezion di chicchessia), quello di voler camminare nel mondo a testa alta e libera, padrone padronissimo di me stesso e senza vincoli di vassallaggio.
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