Vittorio Emanuele II, che era allora nella capitale provvisoria, Firenze, ruppe gl'indugi e corse sul luogo del disastro. È una delle solite apparenze di sviscerato amore a' popoli, quello dei re, di correre dove credono che, facendo pompa della loro comparsa e mescendo qualche goccia di denaro dal pispolo piccolissimo dell'imbuto a bocca larga che si servono per imbottigliare nelle arche loro il denaro munto ai popoli in gran quantità; possono cogliere due piccioni a una fava, come suol dirsi - nomea di liberalità e affetto di vassalli.
Venne dunque Vittorio; me lo ricordo anche ora, percorse in un barcone, circondato dal Prefetto, dal Sindaco, da generali, dai pezzi grossi del seguito, i rioni più colpiti, raccattando orazioni, benedizioni e suppliche.
La campagna, dalla parte di Civitavecchia, Ponte Galera, Maccarese, Magliana, tutta invasa dall'acqua: le rotaie coperte da un metro e mezzo di torbido acquitrinio di fanghiglio; il Tevere, metteva paura. La circolazione dei treni rimase interpolatamente sospesa per circa due mesi; e si dovette accorrere nelle stazioni più pericolanti, sia per prestar aiuto a salvare le famiglie, sia per avviare, men che male, un po' di circolazione di treni e di traffico.
Una mattina, non essendo di servizio, entravo in stazione per curiosare e veder come mettevano le notizie dei posti di livello del Tevere e della Nera; quando l'ispettore entra correndo in stazione con una cassetta, dove vi si tenevano i ferri necessari a riparare i guasti agli apparati; e mentre sta per partire una locomotiva di soccorso per la linea di Ponte S>. Paolo, m'ordina, in fretta e in furia, di recarmi a Maccarese che non risponde da tre ore e che, con probabilità è coperto dall'acqua.
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