E so che l'ispettore, per provarlo, scendeva lesto lesto dai diretti e, apprestatosi al tasto della linea di Roma, chiamava: non era terminato il segnale che partiva la risposta.
Conoscevo la calligrafia, - chiamiamola così - delle trasmissioni; sentivo la cadenza e il tono delle mani d'ognuno e li riconoscevo al suono e mi bastavano due lettere per dire subito al trasmittente: Tu sei Tizio, Cajo e Sempronio! - Invariabilmente rispondevo all'ispettore che non credeva sorprendermi in mancanza: - Nulla di nuovo, Sig. Cavaliere: - e tutti zitti!
Per queste poche cosucce dunque, fui chiamato al poco, per me, invidiabile posto di Segretario, e vi rimasi tre lunghi anni, fino a tanto cioè, che la mia mala ventura (o la buona o la contraria stella) spuntasse sull'orizzonte a far mutar rotta alla navicella fluttuante di mia vita.
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Prima che s'effettuasse il cambio, cioè prima che fossi trasferito all'ispettorato, m'avvennero due casetti veramente curiosi dei quali non voglio lasciarne passarne il ricordo, sembrandomi possano racchiudere in sè qualcosa di buono per il lettore.
Una notte, essendo di servizio, mentre me ne stavo dormicchiando disteso su tre seggiole, con la testa appoggiata a un guanciale fatto co' libri degli Ordini di Servizio! mi parve di veder aprire l'uscio dell'ufficio, e un mostruoso leone avvicinarsi a me lentamente, con le fauci spalancate e gli occhi injettati di sangue. La semi oscurità della stanza (avevo spento tutte le fiaccole a gas, meno una lasciata semi aperta), quell'intorpedimento materiale che ti coglie sempre in sull'ore piccole e che costa tanta fatica; il malessere generale che portava con sè, il continuo, ed esauriente lavoro; mi tenevano la mente in una specie di dormiveglia accidioso e penosissimo: ma a un tratto, due enormi zampe leonine mi si appoggiano sul petto e un muso mostruoso irto di pelo, s'avvicina alla mia faccia.
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