..... sento una lingua ardente lambirmi, e due zanne d’acciaio affondarsi nella carne del viso, ma senza farmi punto male.
Mi desto gettando un rauco lamento, perchè l'incubo era realmente doloroso, m'alzo in fretta e in furia e vedo un magnifico cane, grosso come un vitello, con una giubba leonina maravigliosa, con due enormi zampe, che mi scondinzola festoso intorno.
Ho sempre voluto un gran bene ai cani e ne ho tenuti molti durante la mia vita, perchè credo il cane l'unico animale che col cavallo, meriti la domestichezza e la compagnia dell'uomo. Il gatto invece è un animale felino, cattivo e maligno; non s'affeziona mai, tranne rarissimi casi; all'uomo ne sono certo, se mai s'affeziona alla casa; è tristo, perfino ne' suoi amori; non si conosce il suo istinto; non si giunge mai a cattivarne la simpatia; il Raiberti (che ne ha scritto i pregi e le qualità; che ha fatto del gatto l'imagine del filosofo e del solitario), non deve aver studiato il gatto oltre le sue apparenze: imagine del più spietato egoismo, peggiore dell'accidia, mi ha fatto maravigliare assai che due popoli (così diversi di razza, e pur così uguali d'idiosincrasia - l'inglese e il genovese) - possano avere per questo freddo, repugnante, viscido animale, le più dolci tenerezze, le più raffinate cortesie.
Presi, dunque il magnifico cane con me, e lo tenni varj giorni; il primo atto fu di denunziar la bestia, il secondo di dargli un nome, e lo chiamai Mosca. Era un animale terribile e mangiava come un lupo; pure mi sarebbe doluto assai di perderlo: il primo giorno che lo portai con me ai Sette Colli, legatolo alla zampa del tavolino dove io mangiavo, nel vedere il gatto uscir sospettoso di cucina e fuggire, dette uno strattone per afferrarlo; rovesciò la tavola con tutti i piatti, l'oliera e le bocce del vino e dell'acqua, cagionandomi un disastro di molte lire.
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Raiberti Mosca Sette Colli
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