... saluti a me. Informato di quel che passa, mi dà ragione e mi dice:
- Questo gentiluomo - il Conte - è mio amico; rispondo io per lui; gli renda pure il cane. E così dopo il rimborso delle mie spese, resi il povero Mosca al quale mi ero affezionato e che era la mia compagnia.
Dopo due giorni, m'arrivò una bellissima lettera del Conte... con una cassetta di dodici bottiglie di vino che mi mandava in compenso dei miei fastidj diceva lui.
Fastidi o no, s'ebbe da me quel conte, bùttero aristocratico, la lezione che si meritava.
Non era raro che, durante le lunghe nottate d'inverno passate dinanzi alle macchine telegrafiche accadesse qualche fattarello degno di ricordo. I protagonisti erano sempre forestieri che avevan bisogno dei servigj del telegrafista, il quale si prestava sempre gentilmente come vedrete.
Nell'inverno, dunque, del 1871, verso il tocco di notte, si sente il tintinnio del campanello dell'accettazione e, attraverso il vetro smerigliato scorgo un cappellino di donna che va e viene in grande agitazione. Aperto il finestrino due signore giovani, entrambe, l'una delle quali piccoletta l'altra più slanciata, mi presentano un dispaccio. Era scritto in lettere dell'alfabeto russo, e sebbene conoscessi l'equivalente loro nell'alfabeto latino, feci osservare che non potevo accettarlo così che però lo farei purchè fosse trascritto in linguaggio intelligibile.
La signora, piccola di statura aveva un volto maraviglioso che non potrò mai dimenticare: di carnagione bianca come il latte, con una fronte pura e due occhi nerissimi, capelli pure neri e ricciuti, una bocca rossa da melagrana, era un vero tipo della donna polacca; sguardo e sorriso dolcissimi, con abbigliamenti signorili e profusione di gioie agli orecchi, al collo e alle dita: l'altra era una fanciulla come ve ne sono tante fra le governanti; simpatica ma non bella, tradiva la sua condizione l'abito meno sfarzoso e più dimesso.
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Conte Mosca Conte
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