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Non era trascorso un anno dalla morte del povero Danella (se ve ne ricordate) che m'accade un fatto quasi simile, a quello ma con uno scioglimento ben diverso.
Dopo il servizio, andavamo a divagarci un po' in uno dei tanti caffè di via Nazionale a giocare una partita al biliardo e a bere un caffè: una sera, al pianoforte, stava seduto un giovinotto che mandava in visibilio con le sue agilissime dita: suonava, come si suol dire, con l'anima, e ci teneva incantati a sentirlo. Era tedesco - si chiamava Giulio D'Able e ci raccontò che, poverissimo, era venuto a Roma e viveva scarsamente di quel lavoro. Gli messi simpatia; un pò perchè ne sentivo compassione; un po' perchè mi pareva una cosa maravigliosa sonare a quel modo; e poi anche perchè ho sentito sempre una indicibile commiserazione per tutti coloro che ho trovato senza amici, senza protezione, poveri e abbandonati. Per farla corta, oltre d'avergli regalato otto lire, un vestito, mille altre bricicche, dopo averlo aiutato a imparar l'italiano e tenuto come un fratello; mi venne in pensiero di raccomandarlo all'ispettor Principale Cav. Galli per farlo ammettere come interprete di tedesco in stazione. E ci riuscii, perchè, lo devo dire e lo dico con soddisfazione, mi volevano tutti bene... meno il mio Torquemada! ma andiamo avanti.
Una sera (il tedesco aspettava l'ordine di presentarsi in servizio) verso le 11, si presentano allo sportello dei dispacci, due preti di non so che maledetto ordine, forestieri; e mi dànno un telegramma per trasmettersi a Vienna.
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