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      Ma, restìo come sono sempre stato, d'andare in casa d'altri, mai mi vi recai salvo per una circostanza che narrerò più avanti.
      Nè il padre, nè nessuno della famiglia, sapeva in quali termini ci trovavamo Virginia e io; e doveva essere così per ragioni fatali, che solo avrebbero potuto esser rimosse, se il padre avesse acconsentito a maritar Virginia a un miserello com'era io; cosa assolutamente improbabile.
      Eravamo all'anno 1876, ed io compiva i vent'anni prescritti dalla legge per esser chiamato a prestare servizio militare. Dovetti dunque partire nel novembre di quell'anno per la città natale, ma prima andai a salutar l'ingegnere e la sua famiglia che abitavano al Corso.
      Era una famiglia patriarcale: lui un uomo alto, grande con una testa leonina ornata da una bianchissima barba profetica che gli ricopriva il petto; alcune bambine (avute da una seconda moglie) e due figli, tutti belli, forti e robusti, ornavano la sua famiglia. Tra le figlie c'era una giovinetta, sorella vera di Virginia (ambedue erano perciò figlie della prima moglie) della medesima età mia; era una giovinetta seria e modesta e non bella, sebbene avesse dolci gli occhi, un sorriso angelico e una voce argentina e soave. Io stavo a sentirla parlare, con gli occhi a terra, e quella voce tranquilla e pacata, metteva una nota di pace che dava piacere: assumeva un tono diverso se era diretta a me, più carezzevole, più sottomessa, più rispettosa.
      La giovinetta non era felice; la matrigna (come tutte le matrigne) amava ciecamente le sue figliuole, e idolatrava i due maschietti, nulla sentiva per la povera Margherita che era la piccola martire della casa: Fiorellino spregiato e tenuto lontano dalla luce paterna e dagli affetti domestici, avvizziva irrimediabilmente fra le giornaliere facenduole, schiava dei capricci di cinque tra fratelli e sorelle perpetue malignità d'una megera (era genovese) grossolana e senza cuore.


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La vita di Giulio Pane
di Giulio Tanini
Tipogr. Waser Genova
1922 pagine 497

   





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