Io avrei dovuto presentarmi al mio posto quel giorno medesimo alle ore quattro pomeridiane. Tale era l'ordine della licenza concessami. Non si scherzava, il Cav. Binda era un uomo che per l'inadempienza d'un articolo del regolamento avrebbe messo in carcere il padre e i figli! Bisognava, quindi, o poter ottener per le buone una proroga di poche ore al mio permesso, o subir le conseguenze militari della tracotanza inquisitoriale del moderno Torquemada, che imperava sulla impaurita e terrorizzata sezione romana.
Gli chiederò poche ore di proroga - penso tra me: e vado alla stazione, dove, postomi alla linea di Roma, prego chiamarmi il Sor Cavaliere. Or, ecco il breve dialogo che avemmo; il lettore si formerà un concetto chiaro dei due caratteri che stavano di fronte.
- Signor Cavaliere - dico: sono pregato da una famiglia di parenti, di fermarmi tre o quattro ore qui in Arezzo; se me lo concede, arriverò domattina alle quattro e mi metterò subito al lavoro, senza andare a riposarmi.
- Se non ritorna alle quattro per stasera, faccio immediatamente rapporto alla Direzione.
Una nube d'ira passò nei miei occhi! Ma come, è cosi che si ricompensa un buon impiegato che da tre anni si è sfruttato nel modo più indegno, tanto per intelligenza che per cuore? È questa - penso io in un baleno - la gratitudine che un superiore deve mostrare a un giovinetto (perchè se gli anni erano assai, l'aspetto non dimostrava), che ha dedicato tutte le ore della sua libertà ad acquistarsi un buon nome, un giovinetto ventenne che ha studiato e imparato da se quattro lingue e le di cui capacità in ogni genere del delicato servizio hanno sorpassato la vostra aspettativa; voi, che a malapena sapete scrivere una miserabile lettera, corretta spesso e volentieri da quello stesso che trattate con tanta superbia e tanta tracotanza?
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