Al Lungo il porto poi, m'estasiavo a vedere i grossi vapori caricare e scaricare le mercanzie degli emporj del mondo; quelle catene rugginose e stridenti, le voci concitate dei forti marinai, il va' e vieni delle barchette e dei vagoni, delle genti; quell'odor di catrame e di reti, di pesce e d'alghe, e quel tutt'insieme cosė diverso e animato della vita d'un porto, e di quel porto; mi teneva per delle ore e delle ore seduto sur un monte di cordame e di catene, fermo sognante a' lontani paesi e genti diverse e diverse leggi, pių libere pių conformi alla civil grandezza d'un popolo.
Non mi saziavo, anche d'ascoltare quei poveri poeti popolari - rapsodi vagabondi - che nel mezzo d'un folto cerchio d'uditori, tutti quasi sempre meschinetti pescatori e marinai disoccupati declamavano i bei canti dell'Ariosto e del Tasso. Con una bacchettina nella mano destra, fieramente postata con la sinistra sul fianco e il braccio teso verso il cielo, con volto come rapito sul soggetto che il vate aveva cosė stupendamente cantato, ridicevano con quell'impeto lirico, le magistrali ottave della pazzia d'Orlando o la morte di Clorinda.
Riflettendo un poco a quei poveri rapsodi napolitani, osservando quei loro gesti pieni di sentimento, guardando quei loro sguardi accesi e brillanti, quella veemenza del dire, mi pareva proprio che cosė dovettero essere gli antichi Omiros, i poeti e rapsodi randagj e nomadi dell'antica e della Magna Grecia; essi mettevano insieme i canti sparsi degli antichi poeti, che erano chiamati Omeri, nome, eponimico e collettivo, come dire coordinatore, compositore, compilatore; e l'Iliade e l'Odissea stessa - non sono forse appunto (come benissimo dice l'elegantissimo ed eruditissimo Eugenio Camerini che ci ricorda di questi poeti, in Femio, e in Domodoco, autore d'una Rovina di Troya, composta sicuramente a questo modo.
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