Penne inestimabili scrissero di quel portentoso avvenimento che tenne la cittą tanti giorni in preda al terrore e sotto la minaccia della distruzione; da un momento all'altro l'infelicissima Napoli stava per essere inghiottita dal suolo commosso e semovente; tremavano e palpitavano gl'immani macigni del monte, le case, i tempj, i monumenti. Si sentiva sobbalzare il terreno sotto i piedi; sordi muggiti, voci soffocate nelle viscere dello spaventoso Titano di fuoco s'udivano brontolare attutite fra le pareti di brage e di lava incandescente che forzava la sua uscita nel gigantesco imbuto traballante sotto l'immane spinta di maree di lava contenute, che volevano uscire e correr gił da' fianchi del monte, in un fiume di fuoco irresistibile. Rintronava l'čtra di mille boati; un rombo sotterraneo, a momenti sordo e contenuto, a momenti rimbombante come se centomila bocche da fuoco, cannoni smisurati, squarciassero la terra e il cielo, si propagava con la violenza irruente d'un mostro che fosse stato in catene migliaia di secoli e che adesso, spezzate le mostruose catene, a corsa pazza e sfrenata corresse sulla indifesa cittą a distruggerla e annichilirla.
Veramente vorrei trascrivete qui i bellissimi versi di Virgilio del Libro III dell'AE. ma si riferiscono all'Etna. Nonostante, la bellezza loro mi sforza a metterli: scusatemi, non ne posso proprio fare a meno.
Dice dunque il divino:
Fama est Enceladi semiustum fulmine corpusUrgeri mole hac in gentemane insuper Aetnam
Impositam ruptis flammam is expirare caminis;
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Napoli Titano Virgilio Libro III Etna Enceladi Aetnam
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