Treni e treni, navi e navi, portavano a migliaja i terrorizzati esseri che abbandonavano le loro casucce, le loro capannette.
La stazione Centrale dove io ero telegrafista, vibrava continuamente per le ondulazioni scomposte del terreno; la la gran tettoja minacciava sprofondarsi sotto il peso delle ceneri, e le scosse del suolo; e fummo costretti noi cinque poveri telegrafisti, Luigi Izzo, Federico Giannone, Giuseppe Calabria, Luigi Caruso e io a trasportare i tavolini delle macchine in mezzo della strada.
I fili telegrafici scagliavano scintille come in tempo dei più forti uragani: e affinchè potessero funzionare i rocchetti con l'urgenza che si richiedeva in mezzo a una situazione tanto pericolosa si dovettero triplicar le correnti per vincere l'elettricità indotta ne' fili, dovuta all'immensa polarizzazione dell'atmosfera.
S'aggiungeva alla conflagrazione elettrica, quella dell'infuriato vulcano; varj giorni s'alternò il combattimento delle lave e la lotta dell'elettricità.
Finalmente, all'ultimo, cominciò a cadere una tristissima pioggia, non già d'acqua, ma di finissima cenere, così impalpabile e pur così pesante, che fummo obbligati a stendere una tela sui tavolini, e noi tener costantemente aperto l'ombrello, scotendolo ogni poco, per la molestia causata dalla cenere sempre più fitta,
I declivi dell'orribile monte avevano la superfice di fuoco; era un fiume di metallo fuso che s'avanzava scendendo con tranquillo, lento e irresistibile moto.
Chi si sarebbe azzardato di rimanere in quell'inferno neppure un momento?
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Centrale Luigi Izzo Federico Giannone Giuseppe Calabria Luigi Caruso
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