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      Era un po' pedantello; ma giovine di buona indole, di qualche studio ma su di sè: si piccava d'essere cospicuo nella lingua e i suoi pochi scritti (che ho letto, tardi quand'era divenuto un personaggio di qualche importanza) sono puri infatti, e arieggiano gli scritti del buon secolo della lingua.
      La mia svariata istruzione e la mia sete del sapere non piacevano a lui, che aveva studiato poco ma quel poco, bene: le lingue che io conosceva già; gli studj che continuavo, sempre lo lasciavano, in apparenza indifferente: volli consigliarlo a imparar lo spagnuolo e lo spronai a farlo offrendogli le mie lezioni gratis: gli regalai una grammatica Spagnuola (mi pare il Sobrino); ma nessun segno trasparì dal suo viso enigmatico, impenetrabile.
      Ottavio e Giotto, erano invece fra loro inseparabili: chi incontrava il naso dell'uno, poteva star sicuro di veder spuntare la pipa dell'altro: Vermouth e China facevano le spese de' frizzi degli amici; io li chiamavo Oreste e Pilade, alcuni altri Castore e Polluce, perchè dicevano, come quei due astri navigano sempre nel regno delle nuvole.
      Mèta delle nostre scorrerie domenicali e notturne era un luogo detto il Romito, fuori porta Rossa; costì, in lieta compagnia, Sandro, Giotto, Ottavio, Moselli, io, ci riunivamo a mangiare del buon pesce fritto e berne del buono; facevamo le ore piccole della notte e con suoni di chitarre, o senza, mettevamo su cori numerosi e intonati a fiato di corde, uso toscano.
      Chi non ha sentito i cori fiorentini, può dire non aver goduto nulla, e di non aver sentito una cosa maravigliosa; perchè, diciamolo francamente, dov'è un'altra città in Italia, dove l'orecchio sia così bene intonato come a Firenze?


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La vita di Giulio Pane
di Giulio Tanini
Tipogr. Waser Genova
1922 pagine 497

   





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