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      Un giorno, tutt'allegro e contento, mi viene a cercare e mi vuol con sè: mi conduce alla Mattonaja, mi pare, mi fa entrare in una grandissima stanza e mi porta dinanzi a una gran macchina alta due metri e più da terra, tutta in ferro e ottone, una specie di telaio ove aveva posto i sostegni di due pistoni e certi recipienti d'acqua. Pretendeva che, messo in moto il volano, i pistoni pompassero l'acqua dal recipiente inferiore, e, per di certi tubi a valvola o saracinesca, l'acqua spinta di sotto in su, cadendo nel recipiente superiore e poi, per mezzo di cucchiai all'uopo bilanciati, versandone una certa quantità sul volano questo continuasse da sè fino.... al giorno del giudizio! Cosa più insensata non avevo visto al mondo. Io ero giovane, è vero, ma avevo la Fisica sulle punte della dita: sapevo che neppure il sole è in moto perpetuo; che si spegne di già; prova ne sono le macchie che di undici in undici anni vanno aumentando, di poco è vero, ma in modo sensibile; e che di bianco com'era per la combustione dell'idrogeno, ora è una stella gialla, color arancio; e poichè tutti i fenomeni meccanici, meteorici, fisiologici, insomma la vita tutta quanta, dipendono dall'astro centrale; e da nessun'altra cosa se non che da quel globo; così anche tutte le macchine dell'invenzione umana se anche potessero camminare ininterrottamente tanto quanto brilli e luccichi il creator della vita sulla Terra; verrebbe un giorno che si fermerebbero.
      Eccomi - dunque, - dinanzi alla tanto decantata macchina: il povero Mosell è lì, con gli occhi fissi sulla sua creatura: egli se la guarda - poveraccio con lo stesso affetto col quale una buona mamma guarda e carezza il nato delle sue viscere: i suoi occhi vanno alternativamente dalla cariatide al mio viso, e par che dicano: - «Non lo vedi, citrullo, come cammina bene, come scivolano le leve, agevoli e obbedienti i volani, i cucchiai, i pistoni?


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La vita di Giulio Pane
di Giulio Tanini
Tipogr. Waser Genova
1922 pagine 497

   





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