Chi ha avuto l'onore di appartenere alla grande famiglia telegrafista, sa quanto compagnesismo passa fra una classe d'uomini che hanno dedicato loro stessi al più nobile dei lavori; il buon telegrafista, oltre ad amare la sua macchinetta come la dolce compagna delle sue nottate insonni, e dei suoi lunghi giorni lunghi, e punto monotoni; si compenetra di tutto quanto avviene nei fatti che quei muti fogli bianchi consegnano a un filo di ferro e dove vi sono tracciati forse i sospiri di un'amante, le lacrime di una madre, le grida disperate d'un infelice, o la banale miosia di cassa di baccalà spedite al grasso mercante: telegrafista, vuol dire essere padre, amico, servitore dell'umanità; ed è con generoso e nobile slancio che, il giovine inchiodato per tante ore dinanzi a quella fedele e vibrante animula d'ottone che gli bisbiglia i suoi misteriosi e cadenzati tic tic tic, che escono fuori dai rocchetti di rame come pensieri, parole, discorsi, ora lieti ora dolorosi; - offre e dedica tutto se stesso alla missione grande e nobilissima che permette a due cuori, forse agli antipodi, di vibrare e confondersi in un palpito di maravigliosa vicinanza, dovuta alla gloria di Volta immortale.
Erano le due, e la bella svedese, appoggiata la fronte sulla mano, aveva chiusi gli occhi, non certo per dormire; quando - d'improvviso s'apre la porta e spunta prima il naso adunco e antipatico del Sor Pippo Soffietti e poi la facciaccia sua gialla e olivastra fa capolino nella porta accallata; viene innanzi, saluta con la sua aria goffa e di collo torto, fa un cenno alla signora di rimanere comoda, e mi dice frignando quel suo risolino mefistofelico:
| |
Volta Sor Pippo Soffietti
|