Bisognava vedere con che serietà si metteva un paio di occhiali torti e rilegati con del refe; con un vetro mezzo rotto e le due lenti opache dalle ditate grasse che ci passava su per pulirle! Era un grugno rude, di bonaccione, ma butterato di vaiolo, con due baffoni rossicci; pareva un croato: il maledetto gioco del lotto lo teneva povero trecentosessantasei giorni e mezzo dell'anno; la sua povera moglie, il figlioletto si venivano a raccomandare a me piangendo, perchè gli facessi smettere il vizio, nel quale ci avrebbe giocato l'anima sua se l'avesse avuta; più quella della moglie e del ragazzo. Non giocava che il sabato, e vi metteva quanto poteva, puntando quanto poteva, puntando un numero straordinario di biglietti: Scriveva delle colonne interminabili di numeri (e non sapeva nè leggere nè scrivere! tanto che dovevamo fare de' segni speciali nei telegrammi perchè riconoscesse a chi dovevano essere recapitati) - e diceva a me a muso duro: - «Vede Sor Giulino, lei dice che io sono matto e cattivo, perchè spreco tanto denaro e faccio patir la fame alla famiglia. Eppure io son sicuro che vincerò, diventerò un signore!» E questa frase, stereotipata, me la ripetè per cinque o sei anni, tutte le volte che gli dicevo: - O Gigi, giochi più al lotto? e lui mi rispondeva, invariabilmente: sono quarant'anni - Sor Giulio - ma s'avvicina il gran giorno!» - Era un uomo eccellente e di cuore veramente romanesco; ma nessuno gli avrebbe potuto far smettere un vizio che aveva, si può dire, succhiato col latte della mamma.
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Scriveva Sor Giulino Gigi Giulio
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