Vedere quella famosa opera lì, a un dito dal naso, e non poterla avere fra le mani, era per me una vera ossessione: credo che il gatto a cui mettiate dinanzi agli occhi un topo vivo vivo chiappato allora allora, deve sentire la stessa voglia di saltargli addosso, come io d'allungar la mano su quel magnifico tesoro (che a me pareva proprio un tesoro) che mi tentava come Eva Adamo.
Una mattina mi viene voglia d'entrare e domandarne il prezzo: - Chi sa - penso fra me - costerà venti o trenta lire? - Superai la mia timidità innata d'entrare nelle botteghe (specie quando c'è gente), un po' perchè i miei vestiti lisi e poveri mi facevano vergognare, poi anche perchè in bottega c'erano sette o otto signore inglesi che sentivo chiacchierare ad alta voce: «Oh yes, ahò ahò yes!» Un diavolo per di dietro mi spinge; urto la porta, entro, ed eccomi lì come un salame in mezzo a tutte quelle figlie della nebbiosa Albione. V'erano tre o quattro bighelloni, che non si scompongono affatto al vedermi entrare; fanno prima tutto il loro comodo, servono Tizio e Cajo senza addarsi di me o facendo vista di non vedermi; un po' seccato: - «Ohe di bottega - faccio io finalmente, non c'è nessuno qui? Eccoti esce di dietro il banco un tipo scerpelloso e calvo, con due mani secche lentiginose, con la penna sull'orecchio che mi fa con un'aria addormentata e stizzita: - «O cosa vuole lei»? - squadrandomi da capo a piedi. - «Voglio - rispondo io - che la mi serva come ha servito quell'inglesine che sono state qui un'ora a ciarlare e lei tutto manieroso ha saputo far loro un monte di complimenti senza incassare il becco d'un quattrino, mentre a me nessuno bada da mezz'ora; e così non si fa.
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