Confesso il vero, quel sentirmi chiamare col nome e col cognome a dieci chilometri di distanza dal sestiere dove abitavo e dove ero presumibilmente sconosciuto, mi sorprese gravemente: pensavo fra me e me. Chi diamine potesse essere la bella mascherina, ma le mie congetture cadevano assolutamente nel vuoto. Che fosse una sorella del buon Aristide, non poteva essere, sebbene anche lui le era noto, al parere, e di nome e di tutto perchè scherzando gli ricordava cose avvenute a lui e a me: più la guardavo e m'incaponivo a voler sapere chi fosse e più si schivava; io pensava: Che sia Lauretta che abbia saputo che venivamo al veglione e abbia voluto farci una sorpresa? ma allora pover'a lei, perchè se lo risaprà - com'è certo che glielo ridirà il fratello - il Sor Filippo, come andrà a finire? Io e Aristide pensiamo allora d'invitarla a cena; così sarà costretta - ci dicevamo - a cavarsi la maschera e la conosceremo; era accompagnata da un'altra maschera vestita da vecchia che stava sempre zitta: e a questa noi non ci rivolgemmo mai.
Per educazione, naturalmente la invitai a ballare, ma con me non volle; ballò con Aristide, mentre io ballavo col grazioso domino rosso: andammo a cena, (erano le due!); ma le due furbone non vollero affatto scoprirsi; la vecchia mi guardava e stava zitta, e la giovane ciarlava con Aristide come se lo conoscesse intus et in cute. Cominciò a far giorno, e bisognò dire addio alle belle mascherine (perchè la maschera farà sempre credere occhi di sole, anche le vecchie e le arpie).
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