In me vi è nulla di lento, di ordinato, di normale. La mia è una natura a molle, a sbalzi; una natura sempre alterata.
Le scrissi, e le gettai dal balcone un biglietto contenente queste sole parole:
«Io sono infelice, io sono malato, io soffro».
Il biglietto cadde a' suoi piedi. Essa lo vide, esitò un istante, poi si curvò, lo raccolse, e fuggí nella sua camera.
Non ricomparve piú lungo il giorno. Alla sera la vidi un istante sul balcone, e osservai che aveva gli occhi soffusi di lacrime.
Da quel momento la mia illusione non ebbe piú freno. Essa aveva pianto per me, essa aveva accettato in certo modo il compito che io le aveva chiesto di consolarmi.
Fui assalito da una smania febbrile di vederla, di sentire la sua voce, di averla vicino a me, di gettarmi a' suoi piedi, di dirle lacrimando tutta la povera storia della mia vita.
Avessi avuto un oggetto toccato da lei, portato da lei, un suo nastro, un suo abito, avrei passato la notte guardandolo, me ne sarei sentito meno diviso.
Cosí fu in ogni tempo della mia anima. Passai sempre dall'apatia all'adorazione senza soffermarmi sull'amore. Perché riposarsi a metà? Perché non mirare agli ultimi limiti? Le grandi cose sono estreme - le grandi anime adorano o odiano.
Erano cominciate allora le pioggie lente e monotone della primavera; pioveva tutto il giorno, e le finestre del suo balcone erano chiuse. Io la sentiva suonare e cantare sotto di me. Era caso, era divinazione? Essa ripeteva sempre alcune arie che mi erano care, e che mi rammentavano le scene piú dolci della mia vita.
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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213 |
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