Allo indomani era malato.
Le riscrissi:
«Io sono malato, io non guarirò se non vi vedo, venite».
E essa venne.
Venne per due lunghe settimane, ogni giorno, dissimulando, come poteva, il suo segreto; divisa tra l'angoscia del mio stato e il rossore dell'inganno che le costava la sua pietà.
Fu la sua pietà, che la condusse all'amore; in quei giorni le nostre anime si unirono.
Piú tardi io le scriveva ancora:
«Oh mia vita! Vieni a confortarmi. Vieni qui, lontano da cotesta casa dove non possiamo essere felici. Ho affittato una cameretta chiara, solitaria, serena, piena di sole. La riempirò tutta di fiori per te. Ma vieni. I nostri cuori hanno bisogno di palpitare l'uno sull'altro. Cosí si muore».
E essa venne ancora.
La pietà l'aveva condotta all'amore; fu l'amore che la condusse alla colpa.
In quei giorni si unirono le nostre vite.
V
Fummo felici, ineffabilmente felici.
Passammo attraverso una serie di sensazioni nuove, ardenti, vertiginose. Mai due anime avevano combaciato cosí pienamente, mai due nature si erano congiunte, fuse, identificate in una sola come le nostre.
Clara aveva indole forte, giusta, severa; vi era nulla di fatuo, nulla di fiacco, nulla di puerile nel suo carattere; e pure nessuna donna fu mai piú affettuosa, piú dolce, piú arrendevole, piú accarezzevole, piú eminentemente donna.
Aveva venticinque anni; era alta, pura, robusta, serena. Scopersi piú tardi il segreto di quel fascino immediato che aveva esercitato sopra di me. Essa rassomigliava a mia madre. Mia madre poteva aver avuto la stessa bellezza e la stessa età quando io nacqui.
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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213 |
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