Benché scoprissi in quel deserto una specie di oasi, un vecchio giardino incantevole, doppiamente incantevole perché abbandonato da anni all'opera distruttrice del tempo e a quella liberamente riparatrice della natura, fui lieto dell'esito di quell'esame, che, come ho detto, era non poco sconfortante. Una città fragorosa mi avrebbe distolto da quella passione per cui aveva d'uopo di raccoglimento e di pace; una natura piú ricca mi avrebbe fatto sentire con maggiore intensità il dolore della sua lontananza, giacché le piú belle memorie del nostro affetto si legavano in qualche modo alla natura.
Fui lieto di poter raccogliere e versare in me stesso tutta la mia fiamma, di alimentarla col suo fuoco medesimo, di non poter perdere né menomare alcuna delle sensazioni che avrebbe risvegliata in me l'opera assiduamente attiva di quel pensiero.
Chiudermi in una stanza, e popolarla dei fantasmi del mio amore - era il mio voto. Vivere a me, e a lei. - Vivere solo.
Io comprendeva che le sarei stato tanto piú dappresso, quanto piú mi sarei trovato lontano da ogni altra creatura.
Allora era ancora capace di creare intorno a me dei mondi.
XII
All'indomani mi recai a visitare il colonnello, capo del servizio a cui era stato destinato.
Egli era uomo di circa sessant'anni, esile e piccolo di statura; il suo carattere aveva in sé nulla di forte e di maschio, ma l'abitudine del comando e della disciplina avevano dato ai suoi modi un'impronta francamente energica e militare. Come in gran parte delle nature deboli, quell'assenza di forza era compensata da molta dolcezza d'animo, e da una specie d'ingenuità che rasentava quasi l'ignoranza, tanto era straordinaria in un uomo di quell'età e di quella professione.
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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213 |
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