Dacché aveva lasciato Clara non avevo piú dato il braccio ad una donna; ed erano parecchi anni che, lei toltane, non m'era trovato in questa specie di contatto con una di loro. Camminammo per qualche tempo senza parlare. Fosca era assai mesta.
- Stamattina vi ho forse spaventato, - mi diss'ella con dolcezza - ne fui afflitta per voi, molto afflitta; ma chi l'avrebbe preveduto? Fu una sorpresa cosí triste! Non ho molta paura di morire, ve lo giuro, benché sappia che non ho piú gran tempo a vivere; ma ho paura di tutto ciò che accompagna e segue la morte: quel vedersi chiusi tra quattro tavole, quel sentirsi buttare la terra addosso, quel disfarsi... tutto ciò è troppo orribile! Se si potesse morire improvvisamente, nella pienezza della gioventú e della salute, e se la morte fosse un annichilimento istantaneo, io l'avrei implorata di già come una benedizione!
- Ma questi pensieri vi fanno male - io le risposi. - Perché pensare a queste cose? Non vedo nella vostra salute motivo di tanta apprensione, - e anche qui sapeva di mentire. - Mi avete fatto pena, è vero, ma non mi avete spaventato, perché sapeva che non v'era in ciò alcun pericolo.
- Ve l'avevano già detto?
- Sí.
- Mi avevate già sentita?
- Sí.
- Eppure...
S'interruppe e tacque.
Continuammo a camminare in silenzio. Io era tutto immerso nell'egoismo del mio amore. Pensava a Clara, non poteva distaccarne il mio pensiero. L'aver una donna al mio fianco, una donna vestita con eleganza, che posava il suo braccio sul mio, - un braccio fino, esile, leggiero - che mi toccava collo strascico del suo abito; e camminare con essa in un luogo solitario, sotto gli alberi, era cosa che accresceva del doppio la mia illusione.
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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213 |
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Clara Clara
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