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      Non solo io non poteva arrestare il mio pensiero su Fosca, ma la mia mente si valeva di lei come di una guida in quella ricerca smaniosa delle sue memorie. Che quella donna fosse poi brutta, orribilmente brutta, non ci pensava. Sapeva tanto illudermi da dimenticarlo.
      Una cosa sopratutto contribuiva a tenermi saldo nella mia illusione, una specie di profumo delicato, molle, voluttuoso che emanava dalla sua persona, e che aveva spesso sentito vicino a Clara. Gli abiti di seta riscaldati dal sole esalano questa fragranza elettrizzante. Coloro che hanno passeggiato in giorni estivi con un'amante lo sanno; essi non passeranno mai dappresso ad una donna vestita di seta senza sentire quel profumo, e senza ricordarsi di quei giorni.
      Oltre a ciò le donne hanno un profumo a sé - non so come la scienza non abbia avvertito questo fenomeno che non sfugge all'amore - tutto ciò che esse toccano è profumato, tutti i luoghi per cui passano ritengono qualche poco della loro fragranza. Non ho mai potuto ricordarmi bene di mia madre, che perdetti fanciullo, se non baciando un fazzoletto che mi è rimasto di lei, e che ritiene ancora dopo tanti anni le reliquie del suo profumo di santa.
      Era troppo tardi per recarci a visitare il castello; entrammo nel giardino.
      Non aveva veduto mai prima di quel giorno un luogo cosí incantevole, cosí pieno di maestosa orribilità. In quelle mie prime escursioni non ne aveva visitate che alcune parti. Non v'erano né aiuole, né fiori, ma spalliere gigantesche di carpini, viali ampi e lunghissimi fiancheggiati da ippocastani secolari, e gruppi di olmi cadenti per vecchiezza l'uno sull'altro.


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213

   





Fosca Clara