Nel mezzo vi era un lago estesissimo, la cui acqua corrotta dal ristagno e dalle foglie che vi s'erano infracidite, non aveva piú alcuna trasparenza; a quando a quando il vento vi faceva cadere dagli alberi i rami secchi, schiantati dal turbine, e appena ne sollevavano le onde, tanto erano dense ed immobili. Piccoli serpentelli d'acqua scivolavano in mezzo alle foglie delle ninfee. Dappertutto statue mutilate, annerite dalle pioggie, coperte di musco e di acetose; cippi e basi di colonne sepolte in mezzo alle ellere; avanzi di acquedotti, tra le cui screpolature crescevano ranuncoli e capelveneri. Da un lato v'erano pure le rovine di un tempio pagano, sulla cui sommità aveva posto radice un ulivo; grosse lucertole, uscivano e entravano dalle fessure delle pareti smattonate. L'umidità e l'ombra vi erano sí costanti che in pieno agosto vi fiorivano le viole; ed erano tante che il suolo pareva coperto da un tappeto azzurro, se non che non avevano profumo. Non si sentiva che il canto di una sola specie di uccelli (non vi intesi mai altro uccello a cantare, né ne vidi d'altra sorta in tutte le volte che mi recai a passeggiarvi), ed erano certi scriccioli non piú grandi d'una farfalla. Il loro canto era un fischio lamentevole e pieno di malinconia. Gli uccelli piú piccoli di quel paese ne abitavano gli alberi piú grandi.
In quel momento il sole era presso a tramontare, e vi gettava orizzontalmente alcuni de' suoi raggi. Le sommità delle piante erano talmente ampie, e avevano talmente intrecciato i loro rami che vi raccoglievano e vi trattenevano quasi tutta quella luce, come sotto un padiglione di verzura impenetrabile.
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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213 |
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