Adesso non so dire come ella fosse mutata, ma allora lo comprendeva. Il pallore e la magrezza del suo volto erano già tali che parevano non poter aumentare, pure in quel giorno mi colpirono piú vivamente del solito. Gli occhi - la sola beltà di quel viso - erano come arrossati dal piangere e dal vegliare, e un cerchio orribilmente livido pareva ingrandirne le orbite. Le labbra quasi pavonazze aggiungevano qualche cosa di spaventevole alla sua fisionomia. Del resto non v'era alcun disordine nel suo acconciamento, che era come sempre elegante e accurato. Le sue fattezze erano riposate, e quasi sorridenti.
- Ho ricevuto la vostra lettera, e vi ringrazio - mi disse ella con calma.
E porgendomi la destra, aggiunse:
- Spero che mi sarà almeno lecito di stringervi la mano.
- Diamine! Non abbiamo cessato di essere amici, e poi...
- Oh, - interruppe ella sorridendo - voi vi dimenticate già di ciò che mi avete scritto: «Credete che la pura amicizia non è possibile tra noi...»
- Allora si trattava d'altra cosa. Ora... Io intendo l'amicizia nel senso convenzionale della parola; un legame che non ha diritto ad alcuna intimità, e si limita a pochi rapporti superficiali.
- In questo senso, va bene.
- Accettereste dunque sinceramente questa specie di amicizia?
- Sinceramente.
- Grazie!
- Sempreché - riprese ella dopo qualche momento - non aveste a mutar consiglio da oggi a domani, e ad evitare di trovarvi solo con me, come avete fatto dopo il nostro primo abboccamento. Anche allora mi avevate fatto una promessa simile a questa.
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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213 |
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