Ciò che mi teneva in pensiero era l'impossibilità di darmi ragione della mutabilità del suo contegno, dell'incoerenza della sua condotta. Per quanto mi arrovellassi non poteva comprendere la natura di quel carattere, non riusciva a metterlo bene in luce. Fino a quel momento era stato incerto tra l'ammirazione e il disprezzo - gli estremi della sua condotta esigevano apprezzamenti estremi - dopo quel dialogo, freddo, caustico, artificioso, non sentiva nemmeno piú il bisogno di giudicarla - essa mi era perfettamente indifferente.
Perciò alla sera, quando mi fu detto che ella era ammalata, ascoltai quella notizia con freddezza, e l'abitudine di non vederla piú per molti giorni fu causa che me ne dimenticassi interamente.
Avrebbe ella serbato la sua promessa? Incominciava a crederlo. A tavola non si apparecchiava nemmeno piú per lei, e nessuno ne riparlava. Il suo posto era stato occupato da un nuovo commensale. Ella era andata ad abitare un altro appartamento lontano dalla sala da pranzo; e siccome non vedevamo piú, come prima, entrarne ed uscirne i medici e le cameriere, non v'era piú nulla che potesse richiamarla al nostro pensiero, e ciascuno di noi se ne era facilmente dimenticato.
Confesso qui di aver nutrito per essa un sentimento che mi sono rimproverato assai spesso. Io odiava quasi quella donna. Allora ne attribuiva la cagione a ciò, che mi pareva che ella avesse voluto farsi giuoco della mia sensibilità; piú tardi compresi che le cause ne erano differenti. Vi è nulla di piú ridicolo di una emozione non divisa.
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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213 |
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