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      Forse ella si avvide dell'effetto che produceva in me quell'esame del suo volto. Si affrettò ad abbassare il paralume della lampada, e a soggiungere:
      - Non voglio che tu mi veda! sono sí brutta!
      - Non è vero.
      - Oh non adularmi cosí.
      - La bontà ti rende bella.
      (E in quel momento era forse sincero).
      - Tu apprezzi questa bellezza?
      - Piú di tutto.
      - Credi che il mio cuore è buono?
      - Se lo credo!
      - Come battono i cuori buoni? Li sai tu distinguere dai cattivi? Senti il mio.
      Mi prese una mano e se la posò sul petto.
      - E il tuo? Oh il tuo cuore!
      - Esso ti ama, Fosca, ti ama.
      - Come... una sorella?
      - Sí, come un'affettuosa sorella.
      - Ah!
      - Come vuoi. Ti ama come tu vuoi. Dagli un altro nome, è sempre amore.
      - Grazie, Giorgio, grazie. Io ti voleva dimenticare, sai, io era ben ingrata, era anche ben sciocca. Credere di poterti dimenticare! Voleva morire senza vederti... poi, non ho avuto la forza... quel giorno fui cosí cattiva con te!
      - Non dirlo, son io che fui cattivo.
      - Tu no, oh no, Giorgio, tu non puoi esserlo. Egli è che la mia malattia mi rende trista; il sapere che sono brutta, che sono malata, che nessuno mi può amare... Che povera creatura son io! Non ci hai mai pensato? Non ti venne mai in mente d'immaginare quanto io debba essere infelice! Ci sono dei giorni in cui questo pensiero mi strazia, e dico a me stessa: dunque sarò sempre cosí sventurata? Dunque non vi sarà mai nulla per me? Mi odieranno tutti? Mi derideranno tutti? Oh Giorgio, mio buon angelo, tu non sai quanto ciò sia terribile per una donna, per me, per un essere sensibile e sventurato come son io!


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213

   





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