S'interruppe singhiozzando.
- Calmati, non piangere, te ne scongiuro, ciò ti farà male.
- Quel giorno pensava a queste cose, e perciò fui cattiva; lo sembrai ancora di piú, perché non lo sono, e mi sforzava di apparirlo. Ma tu mi hai perdonato!
- Oh, tu sei sí buona! Nulla io ho a perdonarti, nulla!
Suonarono le due ore all'orologio.
- Come passa presto la notte; il tempo vola quando si è felici - diss'ella. - Fino a quando resterai qui?
- Fino a quando vorrai.
- Fino a domattina?
- Sí.
- Cosa faremo?
- Parleremo, ma forse ciò ti affatica.
- Un poco.
- Penseremo.
- Metti la tua testa qui, cosí, vicino alla mia, dammi la tua mano. Dormiamo?
- Come vuoi.
- Sogniamo?
- Sí.
Tacemmo tutti e due. Ella chiuse gli occhi, e parve raccogliersi e dormire. Passammo cosí un'ora che mi parve un'eternità. Ogni qual volta io faceva atto di muovermi, ella trasaliva e stringeva piú forte le mie mani. Pareva leggesse nel mio pensiero, tremava ad ogni idea spiacevole che mi passava nella mente, e mormorava il mio nome.
Si riscosse al rumore di certi carri che passavano sulla via.
- Sei tu, sei tu; -mi disse con gioia - non dormiva ma sognava. Mi pareva di essere ancora fanciulla, e che tu fossi il mio angelo custode, quell'angelo che allora pregava tutte le sere, e che immaginava dovesse vegliare la notte al mio capezzale; mi sembrava che tu avessi delle ali bianche. Ti ricordi quando si era fanciulli? Pensare che allora non ti conosceva, non ti amava! Quando si era fanciulli!...
- Eri piú felice allora?
- Sperava di divenirlo, e perciò lo era.
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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213 |
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