Non mi ricordo di un'epoca della mia vita in cui non abbia amato qualche cosa. Mi asterrei dal raccontarti ora alcune particolarità di questa mia disposizione morbosa, se non fosse che ciò deve spiegarti le molte anomalie che dovrai riconoscere piú tardi nel mio carattere. La mia potenza di affettività non aveva né modi, né limiti; era una febbre, una espansione, un'irradiazione continua; avrei potuto amare tutto l'universo senza esaurirmi.
E parlo di affetti, non di amore, ché a quell'età non avrei potuto sentire altro che affetti; se quel bisogno di amore fosse perdurato sí violento fino alla gioventú, mi avrebbe trascinata a qualche eccesso colpevole.
Tutti i fanciulli si affezionano ai primi oggetti che possiedono, sopratutto alle cose che vivono od hanno apparenza di vita; ma le loro predilezioni sono superficiali, mutabili; sono meglio che affetti, un'affettuosa curiosità di conoscere. L'intensità era invece la maggiore dote della mia; amava le cose che amano i fanciulli, ma come le amerebbero gli uomini.
Mi ricordo spesso - e te lo racconto per farti sorridere - di una piccola sciagura che m'accadde a sette anni, e che mi fu causa di una malattia quasi mortale. Avevo un micio ed un canarino; erano tutta la mia affezione, non avrei saputo dire quale amava di piú. - Il micio mangiò il canarino - immagina tu il mio dolore! Uno l'aveva perduto, l'altro non lo poteva piú amare, doveva abborrirlo. Me ne corrucciai tanto, che ne fui malata due mesi.
Non ho mai amato le bambole, aveva avversione a tutto ciò che non era vivo; amava le piante ed i fiori perché mi parevano cose viventi.
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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213 |
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