Non so dirti ciò che provava alla vista di un cespo di viole, di un bulbo di giacinto, di una pianticella di primule. Le sradicava, e le tramutava spesso di vaso per averle tra le mani, per vederne le radici, per guardarle bene; se morivano, ne conservava gli steli disseccati. Di tutte le sensazioni incerte e confuse di quella età, questa è stata sempre per me la piú inesplicabile - questo strano amore che aveva per le piante. Mi avviene ancora oggi di pensarvi alcune volte, senza poterne punto comprenderne la natura.
L'attaccamento che sentiva per le mie compagne, per i fanciulli, per le persone di casa, mi era spesso motivo di grandi tormenti. Esigeva dal loro affetto piú di quello che era possibile concedermi; quindi quelle contrarietà me le facevano credere indifferenti, apate, ingrate; ne soffrivo come soffrirei ora d'un vero abbandono e d'una vera ingratitudine. Una mia nutrice che io amava assai dovette allogarsi in mia casa, e rimanervi fino a che io non ebbi toccato i dodici anni, giacché mi era ammalata ad ogni tentativo che si era fatto di separarmene.
A quell'età fui posta in collegio, e mi vi innamorai di una mia compagna. Fu una passione vera, ostinata, tenace, quale non poteva sentirla che io. Quella fanciulla, che ora è donna maritata, non comprendeva nulla della profondità e dell'indole di quell'affetto; e quantunque mi riamasse, lo faceva sí freddamente che io ne era desolata. Era - benché buona - una ragazza vacua e leggera come le altre; era bellissima, e fu forse la sua beltà che mi trasse inconsciamente ad amarla.
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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213 |
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