Mi ricordo, che mi alzava di notte per andarla a vedere mentre dormiva, e passava molte ore vicino al suo letto, coi piedi nudi, colla sola camicia, tutta tremante di freddo. Le rubava i suoi nastri e le sue pezzuole pel solo motivo che erano sue, la scongiurava colle lacrime a dirmi che mi voleva bene, a lasciarsi baciare. Ma ella era spesso senza pietà. Non solo quella delusione non mi guarí della mia malattia, ma mi fu anzi fatale, perché mi fece comprendere che avrei trovato difficilmente in altri cuori quell'affetto ardente e senza limiti che sentivo nel mio.
Fui levata di collegio dopo pochi mesi, e non aveva ancora quattordici anni che fui presa d'amore per un uomo di quaranta, un giudice di mandamento, un amico di mio padre che veniva in nostra casa tutte le sere. Allora, strana cosa! non aveva simpatia che per uomini molto attempati. Benché giunta all'epoca della pubertà, non era piú sviluppata di quanto lo sia una fanciulla robusta di dieci anni: egli mi trattava come una bambina, e mi faceva spesso ballare sulle sue ginocchia; le sue carezze e i suoi baci, ogni suo atto di famigliarità, mi cagionava un turbamento dolce e incomprensibile.
L'amava alla follia, benché non comprendessi nulla della natura di questo sentimento, e avessi quasi paura di lui. Era un uomo alto, serio, con una gran barba nera: ora che ci penso non so come a quell'età avessi potuto innamorarmi di un tal uomo, pure fu una passione quasi decisiva per la mia vita. Ebbi il coraggio di scrivergli una lunga lettera che egli mostrò a' miei parenti.
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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213 |
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