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      Mio padre rise, ma mia madre ci vide dentro il germe di una passione seria, e lo pregò a non venir piú in nostra casa. Nell'uscire, egli m'incontrò sull'uscio, mi prese pel mento e mi disse: "Mia cara piccina, vorreste incominciare troppo male e troppo per tempo; non avete avuto paura de' miei quarant'anni? Se mia moglie avesse veduto la vostra lettera, vi avrebbe mandato a regalare un bel pulcinella". Mi strinse una guancia tra le dita, ed uscí sorridendo.
      Mi ammalai di dolore e di vergogna: vissi per due anni malaticcia, pensierosa, raccolta, appassionata della solitudine e dei libri. In quel periodo di raccoglimento mi formai l'intelletto ed il cuore; vi era entrata fanciulla, e ne uscii donna.
      Ma sono già assai stanca, mio caro Giorgio, proseguirò domani. Addio, addio.
      . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
      Ove sono rimasta? Eccomi a riprendere.
      Mio padre e mia madre mi adoravano, e si adoravano. Erano due creature stranamente ingenue, stranamente buone. Si erano fatti all'amore diciassette anni prima di sposarsi; erano vecchi tutti e due, e non avevano avuto altri figli. Questo nome di Fosca che a te sarà parso assai singolare, è comunissimo in quella provincia delle Romagne dove son nata, e me l'avevano dato perché era stato quello d'una bisavola che non ho conosciuto.
      L'affetto che mia madre aveva per me la rendeva sí cieca a' miei difetti, che l'educazione che ella mi diede fu affatto impotente a correggermene.


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Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
pagine 213

   





Giorgio Fosca Romagne